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Ardito Schiano – Porto Ercole nella storia e nella memoria

Di Enrico Bistazzoni

La prima volta che mi capitò sotto gli occhi il libro di Ardito Schiano… non era ancora un libro. Il maestro sapeva che lavoravo in una casa editrice, che mi occupavo di editing e correzione di bozze, e allora, eccola lì la bozza, su cui mettere le mani e un po' di penna rossa, perché si trasformasse appunto in un libro.




Forse eravamo al Bar Centrale, luogo abituale dei nostri incontri. Un orzo per lui, al quale io mi adeguavo. Credo sia nata allora la mia abitudine di prendere un orzo quando devo per forza sedermi a un bar. Oppure eravamo a casa sua, in quella stanza affastellata di tele, cornici, quadri e quadretti da finire o finiti ma che aveva voluto tenere per sé. Ne ricordo uno in cui si era raffigurato con la moglie, per la quale non mancava mai un fiore in un piccolo vaso di vetro sul davanzale della finestra, fuori se il tempo lo permetteva. E poi ricordo il tavolo di lavoro, un modesto tavolo di truciolato chiaro, disseminato di fogli, foglietti, pile di libri, tubetti di colori, macchie di tempera, scalfitture di taglierino, mozziconi di matite, in un disordine artistico che mi era impossibile non ammirare.
Eravamo amici da non molto tempo. Mi ero sempre tenuto un po' alla larga dal suo studio a Porto Ercole vecchio, pochi metri da piazza Santa Barbara, in parte per ritrosia portercolese, in parte per timidezza tutta mia. Ad avvicinarci fu la comune frequentazione della pro loco, regolare la mia, irregolare la sua, da artista che talvolta – questo lo dico io – si sarebbe aspettato una dimostrazione di stima, se non quel riconoscimento che il paese che si ama è sempre restio a concedere.

Già, il paese che si ama. Quello che quando ti fermi a guardarlo ti sembra così bello da apparire perfino diverso dall'ultima volta, e allora, se siamo noi, perennemente portatori di un cellulare, non possiamo fare a meno di scattare l'ennensima foto, ma se sei un artista, e di quel paese e di quel mare hai fatto il soggetto principale dei tuoi quadri, che fai se non cercare di coglierne una nuova sfumatura, una nuova luce?


Credo nascessero così i dipinti di Ardito, da quel desiderio di decifrare prima o poi la luce assoluta, con quel bianco che dalla nuda tela si insinua in ogni increspatura di mare e in un punto prevale su tutto. Mi viene in mente ogni volta che, camminando in Panoramica in una giornata di sole, vedo quel cerchio di bianco che poco prima dell'orizzonte interrompe l'azzurro. E credo sia anche il motivo di quel ritrarre continuamente il paese vecchio, visto dal porto, o da un'ideale finestra, ricercandone non l'esattezza architettonica ma l'essenza. Come avviene di un luogo che non è solo un luogo fisico ma molto di più.



Di questo “suo paese” ha riempito via via non solo la sua stanza, o gli spazi che hanno ospitato le sue mostre, ma tante case, di Porto Ercole e ancor più di altrove, salotti, ville, casali, dimore di amici e ammiratori che hanno comprato una sua opera non per necessità di riempire una parete ma perché volevano quell'artista e quel soggetto. Ho sentito parlare tante volte (e letto in più di una recensione, anche di rilevante firma) del “mare di Ardito Schiano”, a sottolinearne la particolarità meritevole di marchio. Ma c'è anche un “Porto Ercole di Ardito Schiano”, immediatamente riconoscibile.



Lo ritroviamo, non a caso, nella copertina di questo suo libro, pubblicato a luglio del 2001, con il titolo scritto in caratteri eleganti che rivelano il mestiere di grafico svolto per tanti anni in un prestigioso studio romano, al tempo in cui al gusto e all'abilità non soccorreva aiuto di computer. E lo ritroviamo, quel “suo” inconfondibile Porto Ercole, all'interno, nelle pagine di storia e di memoria, dove il testo è accompagnato da numerosissime immagini che gli scorrono accanto, come ininterrotti fotogrammi di una pellicola. Scelta non sorprendente per chiunque sa della passione di Ardito per il cinema.

Né deve sorprendere di leggere, insieme ai resoconti di eventi antichissimi o più recenti, ricordi personali e familiari. Proprio perché è libro di artista prima che di scrittore e di storico. Un libro in cui la storia racconta quello che eravamo e che siamo diventati solo se vista attraverso l'anima, ancor più che attraverso gli occhi, della memoria. 

Forse Ardito non ha trascorso intere giornate in biblioteca per mettere insieme le pagine di questo libro. Probabilmente gli è stato sufficiente sfogliare alcuni volumi già posseduti (indicati puntualmente in bibliografia) per parlarci di cosa c'era a Porto Ercole in epoca romana, o di come in tardo Medioevo fu acquistato dai senesi, o delle tante vicende al tempo degli Spagnoli, a cominciare dalla costruzione delle fortezze. Ma poi, c'è sempre un momento in cui la descrizione di cronaca o di una tecnica di costruzione si accende e diventa viva, come quando, ad esempio, ci fa vedere gli uomini e le donne del Cinquecento, nei loro vestiti scomodi e appariscenti, mentre “Scendono dalle scale che dalla Rocca portano al borgo; hanno i loro cavalli fuori della Porta Senese”. O come quando collega alla storia del paese eventi curiosi, come lo sbarco nel 1513 di un'ambasceria del Portogallo, che da Porto Ercole intraprese il viaggio via terra per Roma con un dono originale per il potefice Leone X: il famoso elefantino Annone, vera e propria celebrità alla corte papale dell'epoca.

E che sia un libro di memoria, e di anima, diventa più evidente quando si entra in epoca moderna, quando vediamo prendere forma e sostanza il paese, che ci sembrava di conoscere bene ma di cui ignoravamo tante cose indispensabili per comprendere quello che è oggi e quello che siamo noi.

“Le fotografie qui riprodotte riguardano invece la storia del centro storico di Porto Ercole e dei suoi abitanti. Ho pensato però che mostrare una foto corredata semplicemente di una didascalia non sarebbe stato sufficiente. Così, per entrare più nel vivo, ho deciso di commentare le immagini magari tentando di interpretarle attraverso l'intensità di partecipazione psicologica ed emotiva dei personaggi, appunto dei “moti dell'anima”, e attraverso anche la mediazione della letteratura e delle notizie tramandateci. Ma anche, di certe stagioni che ho vissuto”. Così Schiano scrive nel capitolo “Dal '900 ad oggi”. 

Ed è una premessa a cui dà coerente seguito. Perché ci accorgiamo veramente di rivivere un'intera storia in un'immagine, o di vedere tante immagini in un breve ritratto in parole, e di sentirne le voci: quelle delle ragazze e delle bambine di quando “si andava alla Rocca a scuola e ad imparare a cucire” (in una straordinaria foto del 1911), dei pescatori che tiravano a terra una barca, delle “botteghe” del paese vecchio, o di una ordinaria (ma quanto emozionante a saperla guardare) scena di vita familiare. Una foto di bambini che “andavano in colonia negli anni '30 sulla costa di Viareggio e Pisa”, un ballo al cinema “Miramare”, un matrimonio con le pose dignitose e compite, mai sopra le righe, di quando non c'erano i selfie.

E cosa c'entra con Porto Ercole, ci verrebbe da dire a un tratto, un fotogramma de “La dolce vita” di Fellini? Per subito scoprire che c'entra eccome, perché l'attrice al centro della scena, Rosemary Rodd, ne era abituale frequentatrice, e a lei si deve l'arrivo negli anni '50 di tanti turisti inglesi, alcuni dei quali rimasti residenti. E i nomi di certi locali da ballo di Orbetello? C'entrano anche quelli, perché lì andavano i giovani portercolesi, che “venivano e ritornavano a piedi o in bicicletta per la strada allora 'bianca'”.

Eh sì, perché il bello è proprio questo. Che pensavamo fosse il libro di Ardito Schiano. E alla fine abbiamo scoperto che è il nostro libro, della nostra storia e della nostra memoria.


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